DOVERI DI CORRETTA INFORMAZIONE E DIVIETO DI ACCAPARRAMENTO DELLA CLIENTELA

15 maggio 2020

Nel periodo dell'emergenza pandemica che sta attanagliando, tra i tanti paesi, l'Italia, proliferano sul web spazi "pubblicitari" che promettono soluzioni immediate e vincenti all'utenza degli internauti in tema di problematiche legali sorte ai tempi del COVID-19. L'impressione che affiora è che si stia tentando di cavalcare l'onda della drammatica situazione in atto, con l'evidente scopo di trasformare in opportunità di lavoro tutta una serie di vicissitudini che sono dirette conseguenze del letale virus e delle misure restrittive adottate dal Governo per contenere la sua diffusione. Dalle richieste di risarcimento del danno alla salute a causa del coronavirus, al fioccare dei ricorsi di separazioni e divorzi quale valvola di sfogo di convivenze forzate da quarantena, a previsioni di eventuali ricorsi contro il diniego di accesso alle misure di sostegno del decreto legge “Cura Italia”; intendiamoci, le azioni elencate sarebbero di per sé legittime, ma i dubbi sorgono circa le modalità attraverso cui vengono promosse, con forme ed espressioni di comunicazione spesso suggestive, se non addirittura caratterizzate da un linguaggio esaltante e con la promessa di facili e sicuri risultati per chiunque decida di aderirvi. Se si naviga sul web è tutto un proliferare di post, non di rado sponsorizzati, che promettono, alludono e inducono l'inconsapevole e già provato utente a promuovere azioni di risarcimento di ogni tipo strettamente connesse ai nefasti esiti e ripercussioni della grave situazione sanitaria e che, ad un primo esame, destano non poche perplessità, sollevando il ragionevole dubbio sulla loro correttezza sotto il profilo deontologico e professionale. Si fa largo una domanda: tali condotte potrebbero configurare gli estremi per una violazione del divieto di accaparramento della clientela ai sensi dell'art. 37 del Codice Deontologico Forense?

Sulla questione, di notevole rilievo per il mondo dell'avvocatura, si è pronunciato il Presidente dell'Organismo Congressuale Forense il quale ha dichiarato che i comportamenti di pochi possono causare un danno “... incalcolabile di immagine e di credibilità all’intera Avvocatura Italiana, che è invece impegnata in modo serio e responsabile a garantire la reale e adeguata tutela dei diritti, in un momento tanto delicato per la nostra nazione ...”.

L'Organismo Congressuale Forense, proprio in vista dei rischi che possono scaturire a seguito della diffusione di tali condotte in violazione della deontologia, con comunicazione prot. n. 52/2020 ha inviato una segnalazione a tutti i presidenti degli Ordini forensi, perché agiscano disciplinarmente nei confronti degli iscritti che abbiano posto in essere questi comportamenti.

Non ci è dato ancora sapere se le azioni appena descritte abbiano effettivamente i connotati di forme di accaparramento di clientela ai sensi dell'art. 37 del Codice Deontologico Forense; forse, si dovranno attendere le prime pronunzie in merito per conoscere se esse verranno qualificate come tali. Tuttavia, appare evidente che qualsiasi uso distorto del mezzo telematico che si serva di spregiudicate tecniche predatorie di marketing da parte degli avvocati dirette ad acquisire un potenziale cliente sfruttando lo stato di forte tensione, talvolta paura e depressione, nonché di debolezza emozionale in cui versa attualmente l'utente/cittadino non può e non deve trovare l'approvazione della comunità forense. Al di là dei possibili giudizi etici e delle eventuali sanzioni disciplinari, la cui valutazione ed irrogazione lasciamo alle sedi competenti, questa potrebbe essere l'occasione per approfondire il tema della "pubblicità dell'avvocato" e di verificare se e quando essa è ammessa.

E' necessario prendere le mosse dall'art. 35 del Codice Deontologico Forense, intitolato "Doveri di corretta informazione" laddove si riconosce la legittimità della cosiddetta pubblicità informativa solo nel rispetto di particolari presupposti. Secondo tale disposizione "... l’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di lealtà correttezza trasparenza segretezza e riservatezza facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale ...".

L'avvocato deve, quindi, limitarsi a fornire informazioni sull’attività professionale nel rispetto della dignità e del decoro professionale; una pubblicità meramente conoscitiva, potendo il professionista provvedere alla sola indicazione delle attività svolte prevalentemente, del proprio curriculum, dei propri titoli, dell'organizzazione dello studio e di altri eventuali suoi collaboratori.

L'avvocato dovrà guardarsi dal divulgare informazioni comparative, equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti la propria attività professionale.

E' sempre, invece, vietato, come già anticipato prima, l'accaparramento della clientela, come espressamente previsto appunto dall'art. 37 del Codice Deontologico Forense:

“... 1. L’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro. 2. L’avvocato non deve offrire o corrispondere a colleghi o a terzi provvigioni o altri compensi quale corrispettivo per la presentazione di un cliente o per l’ottenimento di incarichi professionali. 3. Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi. 4. E’ vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico. 5. E’ altresì vietato all’avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare. 6. La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura ..."

Tale disposizione, oltre ad operare un richiamo ai doveri di lealtà e di correttezza verso i colleghi e le Istituzioni forensi, intende salvaguardare l’affidamento della collettività e della clientela e mira a confermare i valori della dignità e del decoro della professione forense.

A titolo esemplificativo, costituisce violazione del divieto di accaparramento di clientela, l’avvocato che curando una rubrica indichi in calce alla stessa i recapiti del proprio studio al fine dell’invio diretto della corrispondenza.

Invece, si comporta in maniera rispettosa, l’avvocato che indica gli ambiti di esercizio dell’attività professionale e le eventuali materie di attività prevalente; ma l'indicazione di possedere una specializzazione presuppone il conseguimento del relativo diploma rilasciato da un istituto universitario

Non rientra nelle violazioni deontologiche l’intervista di un avvocato apparsa su un quotidiano quando si possa escludere l’intenzionalità del professionista di essersi voluto fare pubblicità.

In merito all'uso del web da parte dell'avvocato ai fini pubblicitari, spiccano alcune sentenze del Consiglio Nazionale Forense, tra tutte quella del 6 giugno 2013, n. 89. Si configurerebbe il divieto di accaparramento di clientela ogni qual volta sia rivolta l’offerta di prestazioni professionali ad un costo simbolico, o gratuito ovvero a prezzi contenuti e bassamente commerciali, al fine di suggestionare il cliente sul piano emozionale, con un messaggio di natura meramente commerciale ed esclusivamente caratterizzato da evidenti sottolineature del dato economico.

Si segnala, altresì, che l’avvocato non può offrire patrocinio gratuito per accrescere la propria popolarità, prospettando interventi risolutivi a carattere gratuito a un soggetto (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 69/18).

Costituisce infrazione del divieto anzidetto anche la figura del cosiddetto avvocato a domicilio, il quale offra le proprie prestazioni professionali, direttamente o per interposta persona, direttamente al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavori, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico.

Insomma, possiamo affermare che il confine tra i doveri di corretta informazione disciplinati dall'art. 35 del CDF e il divieto di accaparramento di cui all'art. 37 del CDF è labile. Basta poco per trasformare una professione caratterizzata dall'alta vocazione e funzione sociale in un'attività mercantile. Sta alla classe forense mantenere il decoro che una così prestigiosa e onorevole professione comporta, cercando di non scivolare nell'adozione di condotte che ne possano infangare la dignità.

Dott. Gabriele Lorizio